Cambiare

TLDR: Perchè e come ho deciso di passare da mac a pc, ovvero scrivere un articolo davvero noioso solo per fare il punto.

8 anni fa decisi di abbandonare la mia comfort zone tecnologica: dopo anni di Apple1 mi trovai nella necessità di aggiornare nuovamente il mio portatile e fu con grande disappunto che mi resi conto che le macchine presentate al keynote di quell’anno erano il risultato di scelte che non condividevo; decisi così che fosse arrivato il momento di testare Windows.

Per qualcuno potrebbe sembrare un passaggio da poco conto, ma la maggior parte dei graphic designer che conosco non riuscirebbe mai ad accettare una transizione del genere e spiegarne il perché meriterebbe un post a sè.

I motivi che mi spingevano a pensare di cambiare sistema erano il prezzo2 e la convinzione che windows non potesse più essere quello che ricordavo dagli anni 903, ma ammetto che il passaggio non è stato indolore e sarebbe stata davvero dura senza motori di ricerca, forum e tutorial.

Dopo 2 settimane riuscii finalmente a trovare la quadra e a ricrearmi un ambiente di lavoro confortevole e funzionale, nella consapevolezza che nonostante i 2 sistemi si guardino molto tra loro, la filosofia dietro è differente e non tutto trova il suo corrispettivo. Quei piccoli comandi o software che avevo scoperto e imparato ad amare su Mac (e più in generale le abitudini che avevo consolidato) sono state le cose più difficili da abbandonare, ma cambiare mi ha dato la possibilità di scoprirne di nuove ed esclusive su windows, ampliando così le mie conoscenze.

Anche se in tutta sincerità non mi sento di consigliare questo passaggio alla maggior parte dei miei colleghi e amici4, per me si è rivelato una sorpresa a più livelli, quasi terapeutico: mi è sempre piaciuto progettare cose, costruirle e modificarle e ho sempre pensato che, necessità a parte, l’unico modo di crescere e di imparare cose nuove è spostarsi e cambiare il contesto in cui si vive e lavora (e il computer è effettivamente un non-luogo in cui si fa tutto).

Ad oggi sinceramente non vedo il motivo di tornare a un sistema Macintosh5: Windows è un sistema che funziona, i programmi più importanti che uso sono identici a quelli per OSX, il sistema è più spartano di quello Mac ma anche più aperto (e la community è vasta) e i prezzi sono talmente convenienti che mi permettono di ottenere – a parità di investimento – performance più elevate di quelle che avrei comprando un prodotto Apple.

Scrivendo questo articolo mi rendo conto che il prossimo grande passaggio che probabilmente dovrò intraprendere sarà quello all’IA, ma per parlare di questo non basterebbe un post, ma un intero nuovo blog. Magari lo faccio scrivere a ChatGPT.

  1. Prima un performa, poi un g4 e successivamente 4 o 5 MacBook.
  2. Il prezzo di un portatile pc è un investimento interessante anche solo come “esperimento”.
  3. Immaginavo dovesse essere sicuramente migliorato in un quarto di secolo.
  4. Non è per tutti.
  5. Sia chiaro che non rinnego i prodotti Apple – sono eccezionali – ma credo che bisogna essere onesti con sè stessi e su come si decide di investire i propri soldi: siamo in un periodo storico in cui si sta perdendo il senso di criticità nei confronti del vero valore di un prodotto e forse è il caso di tornare a farsi qualche domanda in più.

40 regole di scrittura

Umberto Eco ha scritto questo divertente e utile elenco di regole della bella-scrittura.
Aggiungo solo che questo blog sta rivelando il mio feticismo per gli elenchi e l’organizzazione.

  1. Evita le allitterazioni, anche se allettano gli allocchi.
  2. Non è che il congiuntivo va evitato, anzi, che lo si usa quando necessario.
  3. Evita le frasi fatte: è minestra riscaldata.
  4. Esprimiti siccome ti nutri.
  5. Non usare sigle commerciali & abbreviazioni etc.
  6. Ricorda (sempre) che la parentesi (anche quando pare indispensabile) interrompe il filo del discorso.
  7. Stai attento a non fare… indigestione di puntini di sospensione.
  8. Usa meno virgolette possibili: non è “fine”.
  9. Non generalizzare mai.
  10. Le parole straniere non fanno affatto bon ton.
  11. Sii avaro di citazioni. Diceva giustamente Emerson: “Odio le citazioni. Dimmi solo quello che sai tu. ”
  12. I paragoni sono come le frasi fatte.
  13. Non essere ridondante; non ripetere due volte la stessa cosa; ripetere è superfluo (per ridondanza s’intende la spiegazione inutile di qualcosa che il lettore ha già capito).
  14. Solo gli stronzi usano parole volgari.
  15. Sii sempre più o meno specifico.
  16. La litote è la più straordinaria delle tecniche espressive.
  17. Non fare frasi di una sola parola. Eliminale.
  18. Guardati dalle metafore troppo ardite: sono piume sulle scaglie di un serpente.
  19. Metti, le virgole, al posto giusto.
  20. Distingui tra la funzione del punto e virgola e quella dei due punti: anche se non è facile.
  21. Se non trovi l’espressione italiana adatta non ricorrere mai all’espressione dialettale: peso el tacòn del buso.
  22. Non usare metafore incongruenti anche se ti paiono “cantare”: sono come un cigno che deraglia.
  23. C’è davvero bisogno di domande retoriche?
  24. Sii conciso, cerca di condensare i tuoi pensieri nel minor numero di parole possibile, evitando frasi lunghe – o spezzate da incisi che inevitabilmente confondono il lettore poco attento – affinché il tuo discorso non contribuisca a quell’inquinamento dell’informazione che è certamente (specie quando inutilmente farcito di precisazioni inutili, o almeno non indispensabili) una delle tragedie di questo nostro tempo dominato dal potere dei media.
  25. Gli accenti non debbono essere nè scorretti nè inutili, perchè chi lo fà sbaglia.
  26. Non si apostrofa un’articolo indeterminativo prima del sostantivo maschile.
  27. Non essere enfatico! Sii parco con gli esclamativi!
  28. Neppure i peggiori fans dei barbarismi pluralizzano i termini stranieri.
  29. Scrivi in modo esatto i nomi stranieri, come Beaudelaire, Roosewelt, Niezsche, e simili.
  30. Nomina direttamente autori e personaggi di cui parli, senza perifrasi. Così faceva il maggior scrittore lombardo del XIX secolo, l’autore del 5 maggio.
  31. All’inizio del discorso usa la captatio benevolentiae, per ingraziarti il lettore (ma forse siete così stupidi da non capire neppure quello che vi sto dicendo).
  32. Cura puntiliosamente l’ortograffia.
  33. Inutile dirti quanto sono stucchevoli le preterizioni.
  34. Non andare troppo sovente a capo.
    Almeno, non quando non serve.
  35. Non usare mai il plurale majestatis. Siamo convinti che faccia una pessima impressione.
  36. Non confondere la causa con l’effetto: saresti in errore e dunque avresti sbagliato.
  37. Non costruire frasi in cui la conclusione non segua logicamente dalle premesse: se tutti facessero così, allora le premesse conseguirebbero dalle conclusioni.
  38. Non indulgere ad arcaismi, apax legomena o altri lessemi inusitati, nonché deep structures rizomatiche che, per quanto ti appaiano come altrettante epifanie della differanza grammatologica e inviti alla deriva decostruttiva – ma peggio ancora sarebbe se risultassero eccepibili allo scrutinio di chi legga con acribia ecdotica – eccedano comunque le competenze cognitive del destinatario.
  39. Non devi essere prolisso, ma neppure devi dire meno di quello che.
  40. Una frase compiuta deve avere.

L’arte del tenere traccia

A diverse settimane di distanza, torno a scrivere dei 2 post precedenti perché volevo consolidare alcuni pensieri.

Partendo dal fatto che il mio impegno come runner in questi mesi ha visto migliorare il mio percorso standard a 10km, riflettevo sul fatto che la creazione di abitudini “buone” e il tenere traccia dei risultati mi sta facendo davvero bene.

Il tema di questo post è quindi sull’importanza di tenere traccia delle cose, non solo per non scordarle, ma per imparare a risolvere i problemi e per conoscersi meglio: l’elenco delle cose che mi hanno aiutato nel raggiungimento del mio obiettivo di cui ho parlato nel post precedente, lo trovo dannatamente utile e spesso continua a tornarmi in mente nel momento in cui devo fare delle scelte che riguardano l’ambito “salute”.

Quello che voglio fare è quindi raccogliere un elenco di note che trovo importante ricordarmi sul tema del “tenere traccia”.

Le ragioni per scrivere possono essere diverse (difficilmente possono essere sbagliate) ma dato il media è il messaggio, invece che scrivere un diario (che mi porterebbe a scrivere con un certo linguaggio e solo di certi temi) preferisco usare dei quaderni in cui scrivo appunti, segno numeri e nomi, faccio disegni, elenchi, liste della spesa, schemi, incollo cose, eccetera.

Ho scoperto che per me l’ideale è usare una Tratto PEN nera1 e un quaderno 18×23 a righe2. Ritengo che gli strumenti per prendere appunti debbano essere super-economici3 e pratici4. I fogli di calcolo – per quanto brutti siano – sono impagabili per creare tabelle di riferimento (sad but true).

Preferisco l’efficienza all’eleganza: nessuno mi giudicherà per quanto scrivo ordinato (anche se è importante) ma l’immediatezza e la chiarezza del concetto (anche a distanza di tempo) sono un tema fondamentale.

Il processo è parte del progetto:

  • segnare la data in cui si prende l’appunto;
  • cancellare con una singola riga per lasciare intravedere la cazzata ciò che si è scritto;
  • non strappare mai le pagine.

Scrivere del problema (dalla lista della spesa al progetto di una app) aiuta ad analizzarlo; tenerli solo in testa crea infatti un “rumore” che impedisce di capirne tutte le parti, di organizzarli, di definirne una priorità; l’idea è che se lasciamo alla carta il compito di conservarli, ci rimane più energia mentale per risolverli.

Tenere traccia con disciplina di ciò che è importante ci aiuta nell’atteggiamento (mindset) con cui affrontiamo i problemi.

Alcune azioni interessanti che si possono fare prendendo note possono essere:

  • affermare/confermare qualcosa: normalmente scrivere un elenco che risponda alla domanda PERCHÉ un concetto è vero, aiuta a dargli solidità: “mi sento in salute PERCHÉ mangio bene, mangio meno, faccio movimento, sono nel mio peso forma, …”
  • Riformulare i problemi cambiando il modo in cui percepiamo una situazione e quindi il suo significato: chiedersi “Com’è andata oggi?” è diverso da chiedersi “Quali sono i motivi per cui oggi è stata una bella giornata?”.
  • Risolvere i problemi capovolgendoli: se siamo bloccati su una domanda, chiedersi il contrario può essere un test per ottenere risposte più semplicemente (un piccolo trick mentale che a volte funziona): invece che rispondere alla domanda “Per quale motivo dovrei disegnare di più“, rispondere alla domanda “per quale motivo dovrei disegnare di meno” può dare risultati interessanti.
  • Risolvere un problema scrivendo 30 soluzioni in 5 minuti (non modificare le soluzioni prima dei 5 minuti: devono essere istintive. C’è tempo dopo i 5 minuti per limare…); in realtà non ho memoria che abbia mai funzionato, ma è una tecnica che mi affascina e che spesso mi fa venire idee per altre cose.
  • Risolvere un problema con un cambio di prospettiva: “che consiglio ti darebbe [nome di persona] per aiutarti a risolvere davvero un problema che hai?” è un tipo di domanda che può aiutarti a trovare delle soluzioni. 
  • Definire una traiettoria: una volta definito un obiettivo, elencare tutte le azioni fatte nella giornata e successivamente evidenziare quelle che ci hanno fatto avvicinare all’obiettivo e quelle che ci hanno fatto allontanare: sarà più facile definire un piano basato sulle azioni “buone”.
  • Scrivere ciò di cui essere grati: aiuta a focalizzarsi sulle cose di cui si ha bisogno per stare bene: “quali sono le 3 cose che mi hanno fatto star bene oggi?” (qualcosa di mondano, di accaduto per caso o accaduto perché voluto).
  • Rispondere alle domande Cosa ti ha eccitato oggi? Cosa ti ha sfiancato oggi? Cosa hai imparato oggi? è una azione che se fatta per 30 giorni, può aiutare a scoprire molte cose di sé stessi.
  1. Scivola bene, ha un bel nero dal tratto importante, non macchia e costa poco.
  2. Difficili da trovare come formato ma sono la “mia” dimensione giusta; per quanto riguarda le righe invece, nonostante preferisca le pagine bianche o quelle dotted, mi permettono di essere naturalmente più ordinato, senza frizioni mentali.
  3. Avere supporti costosi implica uno stato mentale in cui si può aver paura di “rovinarli”; questo frena l’immediatezza dell’atto e quindi il flusso di pensiero.
  4. Carta e inchiostro (che permane nel tempo e ti obbliga a far pace con gli errori) sono estremamente più pratici di uno strumento digitale come un tablet – con tecnologia epaper o meno – che per quante opzioni possa avere in più, risultano più fragili e meno immediati. Ricordarsi inoltre che un quaderno è facilmente fotografabile con qualsiasi smartphone.

Droga buona e gratis

Giusto per ricordarmi che forse il metodo funziona: il 17 settembre ho ricominciato a correre dopo oltre un anno di inattività e il 31 ottobre sono finalmente riuscito a concludere il percorso di 7 km che di solito riesco a fare quando sono in forma (oggi 3 novembre l’ho confermato).

Ci sono riuscito perchè:

  1. mi sono dato un traguardo;
  2. ho migliorato la mia dieta;
  3. sono stato supportato dalla mia famiglia;
  4. ho usato un’app di allenamento fatta in un modo corretto per il mio traguardo;
  5. mi sono dopato con la colonna sonora giusta per me1;
  6. mi sono dato dei piccoli premi ogni tanto2 e di tanto in tanto cercavo di ricordare anche i motivi per cui mi ero dato il traguardo;
  7. non mi sono perso d’animo3 e ho trovato quasi sempre bel tempo (che aiuta un sacco anche all’umore).

Non sono mai stato un amante dello sport in generale, ma correre è una buona dimensione per me: riesco a farlo da solo (bastano un paio di scarpe decenti) e abito in una zona molto verde con un bel percorso vicino a casa che nonostante il lavoro riesco a fare quando voglio in 45 minuti4.

I vantaggi di tutto questo affannarsi? Per me endorfine e seratonina (droghe gratis e “buone”) che dopo i primi 30 minuti di corsa fanno pura magia e in generale una vita più equilibrata.

  1. con un bpm da esseri umani;
  2. anche l’app cerca di darli sotto forma di “medaglie”; potrà sembrare sciocco e inutile ma in realtà un po’ danno convinzione;
  3. consapevole del fatto che l’abitudine formata nel regolare quantità e qualità del cibo per me è facilissima da rompere, so che non potrò concludere la dieta una volta raggiunto il mio peso forma; questo presupposto diventa fondamentale nel momento in cui mi rendo conto che il giorno prima ho ceduto a qualche piccola tentazione, cerco di accettare con filosofia il fatto che forse in quel momento avevo bisogno di qualcosa del genere e anzi di compiacermi di quel “dolce” momento che non devo assolutamente trasformare in un momento negativo; subito dopo però cerco di ricompormi, di porre rimedio a quella piccola deviazione di percorso e di rimettermi sui binari (una sorta di kintsugi della vita);
  4. un tempo che non mi disturba, in quanto per me l’obiettivo è mantenere l’abitudine nell’andare a correre almeno 2 volte a settimana e farmi quei 7 km. Non lo faccio per agonismo.

Un passo alla volta

Atomic habits di James Clear è un libro di cui negli ultimi anni ho sentito parlare più volte e fa parte di quella serie di pubblicazioni che mi affascinano perchè hanno un approccio molto scientifico nel tentare di analizzare i problemi della natura umana. Nonostante questo, quando gli autori propongono un metodo pratico e lineare per risolverli (gli americani sono bravissimi a creare manuali e soluzioni a step), c’è sempre qualcosa che non riesce mai a convincermi del tutto e ammetto quindi di non avere ancora trovato il desiderio di leggere questo titolo.

Proprio stamattina però, girovagando su internet ho trovato un video che in modo altrettanto lineare spiega la tecnica che sento di poter riassumere così: l’abitudine si crea quando un segnale innesca un desiderio che determina una risposta con cui si ottiene una ricompensa. Perchè l’abitudine si crei, bisogna che la risposta sia facile da attuare, ripeterla molte volte e che la ricompensa sia adeguata. Ricordandosi queste condizioni, pare si possano acquisire nuove abitudini (o perderne di cattive).

Se consideriamo che il cervello crea abitudini per risparmiare energia, il discorso ha senso, ma ora il metodo va testato: è ora di tornare a correre!

Tron lives

Tron: Uprising è una serie animata uscita nel 2012 (2 anni dopo l’uscita nelle sale di Tron: Legacy) e ambientata in un periodo a cavallo tra i 2 film.

Personalmente trovo che sia un must per gli amanti della saga1 per più motivi: una trama avvincente basata su temi già conosciuti dal pubblico, un cast di personaggi2 iconici e di altri che nel corso di 19 puntate hanno modo di evolvere, è stilisticamente innovativo3 pur rimanendo legato ai film e ha un’attenzione al design davvero strabiliante4… un peccato che la serie non abbia avuto la fortuna che si sperava, con un numero di visualizzazioni in continuo declino fino alla decisione da parte di Disney di farlo sparire da qualsiasi piattaforma5, nonostante il pubblico ad un certo punto si sia “svegliato” con una serie di raccolta firme per rilanciare lo show (che è fermo alla prima stagione).

Tron: Uprising merita più attenzione e almeno una riflessione: un prodotto di grande qualità che evidentemente ha un pubblico di nicchia merita l’oblio? Quel che è certo è che il mondo di Tron mi affascina perchè è stata una incredibile opportunità, un esempio di intrattenimento, di invenzione e creatività a cui raramente si può partecipare/assistere e che va al di là dei mondi fantastici a cui siamo solitamente abituati6: come designer e illustratore credo che essere invitati a crearlo possa essere contemporaneamente un privilegio, un incubo e una soddisfazione incredibile (a meno che non ti cancellino lo show).

  1. fan che in realtà non hanno mai dimostrato di essere moltissimi: secondo Disney in termini di incasso tutti i film sono stati un flop
  2. creati da Robert Valley, già animatore dei Gorillaz e di gioielli come alcuni corti per Love Death Robots, Metallica: Murder One, Pear Cider and cigaretts e diverse pubblicità
  3. hanno fatto vincere un emmy ad Alberto Mielgo per l’art direction; 10 anni dopo vincerà un oscar per The Windshield Wiper, anche se ormai già famoso per alcuni corti di Love Death Robots
  4. a cura di Daniel Simon, capoprogettista dei veicoli, responsabile di molti progetti dei veicoli nel film Tron: Legacy, inclusi i Light Cycle
  5. davvero difficile capire la motivazione per cui uno show vincitore di diversi premi possa essere cancellato in questo modo anche dalle piattaforme digitali. Sicuramente l’acquisizione del brand di Starwars proprio in quel periodo ha sicuramente cambiato i piani marketing di tutta Disney, ma non rendere più disponibile la serie continuo a non capirlo. E pensare che il produttore Bill Wolkoff, nel momento in cui lo show veniva cancellato, aveva già pronti almeno metà degli episodi della stagione successiva…
  6. a prescindere dal livello di dettaglio che si può essere chiamati ad arrivare quando si deve creare un mondo (dallo spillo a un sistema stellare), in Tron non si tratta di dungeon medioevali, astronavi o simulazioni alla matrix, ma di una dimensione parallela in cui il codice prende vita e forma secondo metafore comprensibili, in cui il tempo funziona in clock e in cui il legame con i creatori è evidente: regole, dinamiche ed estetiche completamente nuove

Creatività

Le api hanno cervelli che permettono loro di essere estremamante organizzate e di riprodursi, mangiare, spostarsi, comunicare. La differenza con il cervello umano è per quantità di neuroni (noi ne abbiamo un centinaio di miliardi mentre loro solo un milione) e per flessibilità della loro struttura. Gli insetti hanno infatti quasi esclusivamente comportamenti automatici: quando ricevono uno stimolo applicano una semplice azione in quanto non hanno abbastanza neuroni per fare di più; inoltre la struttura del loro cervello è rigida, per questo appena nate sanno già cosa devono fare per sopravvivere.

I neuroni necessari per i nostri comportamenti automatici (camminare, respirare, masticare) sono pochissimi rispetto a quelli disponibili1 e tutti gli altri (interposti tra quelli necessari alle sensazioni – era un tuono? – e l’azione – cerco un riparo) sono utilizzati per offrire comportamenti mediati, utili al ragionamento e alla previsione: non c’è solo un rapporto se succede A allora fai B, ma qualcosa di molto più complesso in cui in risposta a un evento tutti i neuroni si attivano in un dibattito – formando addirittura coalizioni – per offrire una varietà di risposte che la volta successiva, a seconda del contesto, potrebbero addirittura essere diverse.

Alla luce di questo, è importante sapere che anche il concetto di novità ha un ruolo in questo sistema: il cervello umano (rispetto a quello delle api) ha un meccanismo che si chiama soppressione della ripetizione che permette di risparmiare energia (la gestione dell’energia è alla base della sopravvivenza) aumentando l’indifferenza nei confronti di fenomeni che non offrono sorpresa2.

La capacità che ha l’essere umano di rispondere alle novità con questa libertà (grazie alla struttura flessibile dei suoi innumerovoli neuroni) si chiama creatività.

La specie creativa di Brandt (compositore musicale) e Eagleman (neuroscienziato) è avvincente.

  1. quando impariamo a fare cose nuove tendiamo inoltre a trasformarle in abitudini abbastanza in fretta
  2. I primitivi, quando uscivano da una grotta, aumentavano tantissimo la soglia dell’attenzione per riuscire a sopravvivere (cercare cibo o cercare di non diventarlo). L’unico momento in cui potevano far scendere quella soglia era nella grotta, un luogo sicuro che non offriva novità e dava sicurezza. Oggi, quando prendiamo l’auto e andiamo in un posto in cui non si è mai stati, la soglia dell’attenzione è altissima, mentre alla decima volta che ci si va la durata del percorso pare la metà. Aumentare la soglia dell’attenzione brucia tantissima energia, mentre aumentare quella dell’indifferenza la fa risparmiare.

La regola è Fare.

Jake Parker, illustratore per ragazzi, per migliorare le sue abilità nell’uso della china inventò nel 2009 la challenge di Inktober: per tutto ottobre, ogni giorno i partecipanti pubblicano sui social una propria illustrazione che risponda come soggetto a una parola guida, ogni giorno diversa e comune a tutti i partecipanti (che ad oggi sono innumerevoli).

Io ho partecipato a Inktober nelle edizioni del 2016 e del 2017 e nonostante Parker sia invischiato in una serie di imbarazzanti storie che riguardano diritto d’autore e plagio, credo siano state esperienze utili: il tempo che ho dedicato a realizzare quella sessantina di illustrazioni l’avrei sicuramente sprecato in modi vergognosi mentre le illustrazioni del 2017 le ho addirittura raccolte in un volume che conservo nella mia libreria e che genera sempre un po’ di stupore nelle persone che lo vedono per la prima volta.

Scherzando dico spesso che sono in lockdown da 15 anni(1) e quindi ho imparato ad amare avere dei progetti non legati al lavoro: mi fanno uscire dalla routine, mi aiutano a rimanere attivo creativamente senza i compromessi o i limiti dei progetti lavorativi e mi danno l’idea che nonostante tutto sia tempo speso bene: c’è molto potenziale.

Ora, in generale, non so se sia giusto condividere questi progetti con il mondo(2) ma è indubbio che siano utili, terapeutici e intelligente averli perchè come spesso si dice, da cosa nasce cosa e potrebbero anche trasformarsi in opportunità… Jake Parker per esempio ha trasformato il suo progetto in una vera attività che gli genera grande visibilità, collaborazioni e vendite in libri e merchandising.

L’idea da portare a casa è quindi di fare cose e farne tante, cercando di divertirsi: qualcuna potrebbe sbocciare in modi non prevedibili e diventare una meravigliosa sorpresa.

  1. appena trasferito a Treviso ho lavorato per 9 anni in remoto per un’agenzia di Roma mentre dal 2020 sono un freelance
  2. ammetto di averlo fatto, ma oggi credo che i risultati di questi progetti siano più utili a sè stessi che a cercare di raccogliere qualche like

A sostegno del racconto.

Da quando ho aggiunto la funzione delle categorie al mio portfolio (che non raccoglie tutti i progetti che ho realizzato, ma solo quelli che sento più rappresentativi) mi sono reso conto che l’illustrazione ha un ruolo importante nella mia vita. Voglio dire, in realtà l’ho sempre saputo, ma non ci ho mai creduto tanto in termini professionali: per molto tempo l’ho considerata infatti un’abilità a supporto di altre di cui in un dato momento ero più interessato. A vedere questo sito invece potrebbe sembrare che io mi occupi principalmente di illustrazione.

Sebbene all’ISIA(1) i riconoscimenti non mancassero e che abbia anche vinto il primo premio di un concorso d’illustrazione(2), mi sono spesso trovato in situazioni per cui il mio stile (che proviene dal mondo del fumetto) non fosse adatto al tipo di progetti che andavo a realizzare e così nel tempo ho cominciato a piegarlo al messaggio: normalmente l’illustratore quando vende un progetto mette a garanzia uno stile comunicativo personale (il committente è soprattutto per quello che sceglie l’artista) ma per me è sempre stata più forte la necessità di esprimere al meglio il messaggio più che me stesso.

L’illustrazione è una cosa di cui non posso fare a meno: permette di esprimere emozioni, concetti e informazioni come nè il testo nè la fotografia possono fare (è lo stesso per le altre discipline, ovviamente: dipende dal contesto). Che si parli di illustrazione tradizionale, digitale 2d o 3d, infografica, icon design, storyboard o semplici schizzi per cercare di escludere la possibilità di fraintendimenti, l’illustrazione è in grado di portare sia chiarezza che respiro in qualsiasi produzione, e nei casi più fortunati anche poesia.

Senza voler scendere nei dettagli di un argomento pressochè infinito che non ha senso discutere su questo blog, ammetto che negli ultimi tempi ho guardato al fenomeno delle IA con curiosità e un pizzico di ansia: nonostante abbiano ancora qualcosa da migliorare(3) credo sia chiaro che nel giro di una manciata di anni cambieranno il mondo se non ci sarà una regolamentazione adeguata, ma soprattutto in termini artistici credo che l’impoverimento culturale e la saturazione del mercato con prodotti che in qualche modo sembrano la copia della copia di qualcosa(4) lasceranno segni importanti.

L’illustrazione non è snob, è arte per il popolo, democratica e legata a beni e servizi di cui la gente ha bisogno, e trovo che nel suo modo di essere a sostegno del racconto(5) sia un’arte che necessita di persone attente e sensibili ed è per questo motivo che dubito che sia un compito che una persona responsabile possa dare a un software, almeno allo stato attuale della tecnologia.

  1. Istitituto Superiore Industrie Artistiche di Urbino
  2. Illustrissimi del comune di Riccione, 2003
  3. nel momento in cui scrivo Midjourney ancora non ha capito quante dita ha un essere umano mentre ChatGPT mi ha rifilato la stessa ricetta per una salsa al limone e un inchiostro fai-da-te per la stampa a ruggine (vorrei provare a re-interpretare questa tradizione romagnola)
  4. questa settimana l’IA di una agenzia ha pubblicato su spotify 100 milioni di brani raddoppiando di fatto il numero di canzoni disponibili sulla piattaforma
  5. intendendo per racconto qualsiasi cosa che va trasmessa, da una semplice storia fino alle spiegazioni di un manuale di istruzioni

I divoratori di PHP.

Questo sito è in WordPress e per realizzarlo ho ripreso in mano php e pazienza.

Nonostante lavorare con il codice mi stimoli molto, i clienti hanno bisogno di professionisti che riescano a far fronte a quasi qualsiasi richiesta e quindi nonostante la mia indole multidisciplinare ho capito da tempo che è meglio che le questioni di programmazione le lasci a chi il codice lo mangia a colazione, pranzo e cena. Ciò nonostante, per le mie cose amo ancora sporcarmi le mani, soprattutto se posso.

Non volevo cambiare molto questo sito rispetto alla versione precedente, ma volevo ottimizzarlo rispetto a funzioni di wordpress che non c’erano quando ho realizzato la prima versione, volevo curarne meglio il codice e aggiungere qualche funzione come questo blog. Ogni scusa è buona per imparare qualcosa e perciò mi sono rimesso il cappello del programmatore e per non farmi mancare nulla ho partecipato anche a un Treviso WordPress Meetup: Erika Gili ha tenuto uno speech sui custom post types (vorrei sapesse che ho messo a frutto ciò di cui ha parlato) e per me è stata l’occasione di incontrare (di nuovo, dopo l’esperienza a Interlogica) persone che stimo molto: i programmatori che partecipano a questi eventi sono personaggi interessanti con un dono speciale, quello della passione e del volerla trasmettere socializzando.

In generale ho simpatia nei confronti di chi sviluppa codice: a parte il fatto di avere per fratello un informatico, credo dipenda dal loro diverso punto di vista e dal fatto che siano attenti a cose a cui spesso si presta meno attenzione. Solitamente ho belle sensazioni nello stare/lavorare con gli sviluppatori ma credo che sia soprattutto agli eventi di questo tipo che si incontrano le persone migliori.

Conoscere Erika, alcuni partecipanti e alcuni di questi anche al di fuori dell’evento mi ha reso felice perchè le relazioni, lo scambio, le idee e il potenziale dei rapporti fanno sentire presenti e utili.

Ora sto facendo un corso di coding creativo in javascript, ma direi che questo mese php ha già dato grandi risultati. Viva WordPress!

Si parte.

Eccomi qui, ci siamo: una breve introduzione.

Ho avuto un blog e per un po’ l’ho abbandonato; quando poi sono tornato a vederne le pagine mi sono piacevolmente sorpreso perchè tutti quei contenuti mi rappresentavano e mi eccitavano ancora, anche quelli che non avevo prodotto io, ma che avevo semplicemente raccolto perchè per un motivo o un altro mi interessavano. Ora la piattaforma su cui si trovavano è stata chiusa e ho perso tutto.

Il portfolio invece, la parte più in primo piano di questo sito, c’è sempre stato, ma nel tempo mi sono reso conto che un individuo non può raccontarsi con una manciata di progetti o un CV: si perde continuamente un valore fondamentale della persona, ovvero l’essere umano stesso, fatto delle cose che ama, del suo atteggiamento, del suo modo di vedere il mondo.

Questo blog nasce quindi fondamentalmente da queste 3 ragioni: per raccogliere le cose che mi interessa conservare, per stupirmi nel riguardale e per riuscire a raccontarmi in modo diverso, indiretto forse, ma molto trasparente, perchè estendendo quello che diceva James Victore, io sono tutti e tutto ciò che ho sempre amato.